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Il gioco della dama

Nel corso del 1975 la famosa rivista sovietica di dama e scacchi «64» ha pubblicato a puntate una storia del gioco della dama trattata e adattata in russo da Murahveri (dal libro «Storia e bibliografia completa del gioco della dama» di K. Kruiswijk). In Italia non esistono nè sono state tradotte opere del genere, perciò pensiamo di far cosa gradita ai nostri lettori riproponendo gli articoli apparsi su «64».
Con l'ultima puntata pubblicheremo anche una bibliografia sull'argomento per coloro che volessero approfondirlo ulteriormente.

Le ricerche archeologiche hanno confermato che già molti secoli prima dell'era cristiana esistevano giochi con la damiera (tavola) e le pedine. Un completo di questo tipo di giochi (una damiera 3x6 con pedine rotonde) il più antico (circa 5000 a.C.), appartenente al periodo predinastico che termina nel 2900 a.C., è stato trovato in Egitto, nella città di El-Mahash. La tavola (damiera) è divisa in tre linee orizzontali e si trova attualmente in un museo di Bruxelles.

I giochi su tavola dell'antico Egitto sono stati spesso paragonati al gioco della dama. Parlando di questi giochi nella «Rivista Archeologica» francese, alcuni famosi archeologi del secolo scorso scrivevano «Jeu de dames» e «draughts». Questa terminologia però derivava dalla inesattezza delle descrizioni. Il gioco dell'antico Egitto aveva in comune con la dama di oggi solo la damiera e le pedine tutte uguali.
Il Murray, nel suo libro «Giochi nel mondo antico», dice: «Tutti questi giochi erano probabilmente giochi di corsa delle figure complicati solamente dalla necessità di usare la damiera con i quadrati segnati». Si presume che i quadrati segnati erano posti «fuori pericolo» e le figure che li occupavano non potevano essere prese. Giochi simili a quelli egiziani sono stati ritrovati in Mesopotamia, nell'Asia Minore e a Creta.
Al periodo della quinta dinastia (2465-2328 a.C.) appartengono i giochi sulla damiera 6x6. Questo può considerarsi prototipo del gioco del «Senato» di epoca più recente.

Non si è in grado di stabilire delle analogie fra l'antico gioco egiziano e quello della dama attuale, perchè le pergarnene di quel periodo, pur conservando le immagini dei giocatori non riportano le regole del gioco in modo completo e chiaro.

Un famoso affresco rinvenuto nella tomba di Deir El Medina Su una di quelle pergamene è stata trovata l'immagine del faraone Ramsete III che, con una donna, gioca su una damiera 6x6. Nella stessa pergamena è descritta anche la partita, ma fino ad oggi non è stata ancora decifrata.
A proposito lo studioso tedesco Videmann scrisse nel 1897: «La difficoltà maggiore consiste nel fatto che gli autori egiziani, anche quando parlavano di cose semplici, come in questo caso, usavano sempre un linguaggio mistico. Perciò diventa impossibile penetrare nella logica dello scritto».

Nella tomba egizia di Kurna, vicino a Fiv, datata 1350 a.C. sono stati trovati diagrammi di damiere 9x9, più grandi e con maggior numero di quadrati di quelle usate per il gioco dell'alkerk o querques (quest'ultimo si giocava su damiere 5x5 e le pedine si muovevano verticalmente, orizzontalmente e diagonalmente). Probabilmente le regole per prendere le pedine avversarie erano simili a quelle della dama (salto sopra le stesse). Ma il movimento delle pedine avveniva sulle linee e non sui quadrati come per la dama, perciò non è possibile ritenere questi giochi come prototipi della dama. Altrimenti si potrebbe paragonare alla dama anche l'antico e diffuso gioco orientale del «go», che non ha alcuna somiglianza con essa.

Presso gli antichi greci erano diffusi due giochi con la damiera: la «petteia» e la «cubea» (da cubo/dado). Giocando la petteia si usavano solo la damiera e le pedine; nella cubea, invece, oltre a queste si usava anche un dado che veniva gettato prima di ogni mossa. Nel completo di questo gioco infatti, oltre alla damiera e alle pedine era compreso anche il dado.
La parola Petteia deriva dal termine greco «pessos» (plurale «pessoi») che indicava le pedine del gioco. Per la prima volta il termine «pessoi» (nel senso di pedine) fu usato da Omero nell'Odissea descrivendo i pretendenti di Penelope. Bisogna però tener presente che prima della comparsa della «petteia» il termine «pessoi» poteva semplicemente indicare le pedine di qualsiasi altro gioco non legato all'uso della damiera.
La seconda volta il termine «pessoi» viene usato da Erodoto (484-424 a.C.) nelle sue «Storie». Descrivendo la vita degli antichi abitanti della Lidia: «... c'erano le pedine (pessoi) per il gioco sulla damiera ed essi (i lidi) giocando dimenticavano la fame».

Nel museo etrusco-gregoriano del Vaticano si trova un'anfora di Exekias (datata 530-525 a.C.) su cui sono raffigurati Achille ed Ajace seduti, mentre giocano. Dal disegno si può notare che entrambi stanno muovendo delle pedine su una damiera. Non è possibile però stabilire le dimensioni della damiera nè la forma delle pedine. L'unica testimonianza archeologica che riguarda questo gioco è il gruppo di terracotta ritrovato ad Atene da K. Bursian e del quale diede per la prima volta notizia nel 1855 Hugo Blumner: «Il gruppo di terracotta di Atene illustra questo gioco (petteia) rappresentando un ragazzo e una donna che giocano attorniati dal pubblico. La damiera, composta da 42 quadrati, si vede dall'alto con 12 pedine patte distribuite in modo irregolare. Non si può, nonostante tutto, stabilire con sicurezza l'esatta posizione delle pedine sulla damiera».

Più tardi per il gioco con le pedine (pessoi) si usò il termine «polis» (città). Questa parola viene usata per la prima volta da Euripide (480-406 a.C.) nella sua tragedia «Le supplici». Uno degli abitanti di Tebe chiede a Teseo come era governato il suo paese. Teseo risponde che nella democratica Atene, come le pedine (pessoi) del gioco «polis», tutti gli abitanti, sono uguali.
Le regole del gioco della petteia (polis) sono descritte nell'«Onomastikon» dell'oratore Giulio Polluce (scritto attorno al 170 d.C.). L'oratore spiega che i giocatori devono portare le pedine dall'altra parte della damiera, nella propria «città». E se la pedina viene circontata da due parti dalle pedine dell'altro colore, essa può essere eliminata. Così, la pedina che ha perso il contatto con le altre pedine dello stesso colore, può essere facilmente attaccata e presa.

Da questo gioco trae un paragone lo stesso Aristotele (384-322 a.C.) quando nella sua «Politica» parla dei greci cacciati dalla città di Atene (apolidi), paragonandoli alle pedine che, rimaste isolate da quelle dello stesso colore, devono aspettarsi grandi tribolazioni. Oltre alla patteia e alla ricordata cubea, in Grecia era in uso anche un altro gioco sulla damiera. Secondo il Murray questo gioco si giocava su una damiera senza quadrati, ma con sole linee, come si può dedurre dal nome stesso «Pentagramma» (cinque linee). Anche Polluce ha ricordato questo gioco sostenendo che derivava da un'altro molto più antico di cui però non sono rimaste tracce attendibili.

 

{tab=Il periodo romano}

 

Il periodo romano

Dei quattro giochi da tavola degli antichi romani solo di tre si conosce il nome: «Ludus duedecim scripta», «Alea», «Ludus Latrunculorum». Il quarto gioco con il nome sconosciuto è stato trovato durante le ricerche archeologiche svolte nell'Africa del nord.

Il gioco «Duodecim scripta» consisteva nel sorpassare le pedine dell'avversario, si giocava adoperando la scacchiera 3x12, e ognuno dei giocatori aveva 15 pedine. Due o più pedine potevano occupare la stessa casella e in tal caso non potevano essere prese. Queste pedine si chiamavano «ordinari» mentre le pedine che si trovavano da sole sulle caselle si chiamavano «vaghi».

Il gioco «Alea», conosciuto dopo con il nome di «Tabula», era una variazione del gioco «Duodecim scripta».
Nell'uno e nell'altro gioco si presuppone che il movimento delle pedine fosse determinato dal tiro di dado. Questi due giochi sono prototipi del «tric-trac», gioco molto diffuso nel Medioevo. Il tric-trac ebbe molta diffusione nell'est europeo (Russia meridionale, Turchia, Bulgaria) e più recentemente si è diffuso anche in America e in Europa.

Il «Ludus Latrunculorum» è un gioco puramente intellettuale, senza dado e senza ombra di azzardo. Marco Terrenzio Varrone (116-27 a.C.) per primo menziona questo gioco. La damiere destinate a questo gioco con le caselle sono state trovate durante degli scavi in Inghilterra. Da queste damiere risulta che una grandezza esatta, prestabilita, non esisteva. Secondo il Murray veniva di solito adottata la damiera 8x8.

Nel 1869 Luis Bek de Fukier riteneva che la damiera fosse composta da caselle bianche e nere, però il suo parere rimase isolato e non venne condiviso da nessun altro. Dal materiale rinvenuto, dagli scavi, risulta che le pedine per il «Ludus Latrunculorum» erano tutte uguali.
Come nel gioco dell'antica Grecia «Petteia», una pedina, circondata dalle pedine dell'avversario, si perdeva (veniva presa).
Marco Valerio Marziolo (40-102 d.C.) descrive nel suo «Epigramma» questo modo per eliminare la pedina. Anche Publio Ovidio Nasone (40 a.C. - 18 d.C.) nei suoi «Ars Amandi» e «Tristezze» descrive in versi non solo il modo per eliminare le pedine, ma anche le regole dei loro movimenti rettilinei e la non obbligatorietà nella presa.
Nella poesia anonima «Laus Pisonis» (circa 50 d.C.) si narra del romano Caio Calpurnio Pisone artista e ottimo giocatore di «Latrunculorum».
La strategia di questo gioco così viene ricostruita da Ostin sulla rivista «La Grecia e Roma» nel 1934:

«Il principio molto importante del gioco era la manovra delle figure fatta in modo che esse formassero un gruppo molto legato. La pedina isolata dal resto e circondata dall'avversario metteva in pericolo se stessa e tutte le altre figure dello stesso colore.
Questa teoria veniva confermata dalla pratica. Si è scoperto infatti che la migliore tattica era la formazione di solidi gruppi di pedine. L'avversario, però, con un gioco intelligente ed anche sacrificando qualcuna delle proprie pedine poteva sfondare questa composizione, guadagnando così la libertà di movimento sul retrofronte dell'avversario, ottenendo in questo modo la possibilità di una graduale conquista della fortezza».

Questa descrizione è molto accurata e si può adattare anche al gioco greco «petteia», formando così un quadro abbastanza esatto di come erano i due antichi giochi.
Nel 400 d.C. troviamo ancora un accenno fatto dal Macrobio nei suoi «Saturnali».
Egli scrive: «Tanti romani hanno celebrato le feste in onore di Saturno giocando a «Latrunculorum» e ad «Abac» (gioco d'azzardo con i dadi)».

Sommando tutto quello che si conosce dei giochi «Petteia» e «Latrunculorum» si può affermare attendibilmente che i due giochi erano identici e che le loro regole erano le seguenti:

  1. la scacchiera per il gioco era composta da caselle non dipinte in colori diversi;
  2. le caselle erano chiamate «campi»;
  3. su ciascun campo poteva essere messa solo una pedina;
  4. tutte le pedine erano soggette alle stesse regole di spostamento e presa;
  5. le pedine si spostano in linea retta (avanti, indietro e lateralmente) e il loro raggio di azione era uguale a quello della torre negli scacchi;
  6. la pedina veniva presa, se non poteva essere liberata dalle pedine dell'avversario che la circondavano. Questa presa si distingue radicalmente dalla presa nel gioco della dama (dove la pedina deve scavalcare la pedina dell'avversario) e negli scacchi (la figura vincente occupa il posto della figura eliminata);
  7. l'arrivo della pedina sull'estrema linea della damiera non dava al giocatore nessun vantaggio.

L'ampio raggio di azione delle pedine e la mancanza d'importanza della direzione degli spostamenti eliminavano la necessità dell'arrivo della pedina alla ultima linea della damiera.

 

{tab=Origini del gioco moderno}

 

Origini del gioco moderno

Esaminiamo più dettagliatamente le fonti letterarie medioevali che ci permettono di determinare il periodo esatto in cui iniziò il gioco della dama propriamente detto.

Il gioco viene menzionato esattamente come «Jeu de dame» nel poema inglese «Sir Farumbras» (del 1380). Il manoscritto di questo poema è conservato in una biblioteca di Oxford ed esiste una edizione tipografica fatta nel 1879.
Il poema in questione comunque non è una produzione originale, si tratta certamente di una rielaborazione del testo francese di una canzone di cavalieri intitolata «Fierabras» e risalente al 1170 circa. Il testo originale di questa canzone è stato pubblicato a Parigi nel 1860 nella raccolta «Antica poesia francese».
Nel testo francese l'autore descrive una serie di divertimenti dell'epoca e due giochi: gli scacchi ed il tric-trac. Nel testo inglese invece si trova menzionato anche il nome di un terzo gioco, appunto il «Jeu de dame».
Il fatto che il traduttore, pur conoscendo bene la lingua ed i costumi della Francia, usi l'espressione francese nel testo inglese sta a dimostrare che, al momento della traduzione, in Inghilterra la dama non era ancora diffusa. Infatti la parola «dame» non ha niente in comune con i termini inglesi che indicano la dama e gli scacchi.

Un'altra canzone di cavalieri francese (Romanzo di Troia) di Benois de Saint-Mor ebbe una versione inglese con il titolo «Caduta di Troia». Questa versione è attribuita ad un poeta scozzese vissuto negli anni 1320-1330. Questa canzone fu tradotta anche in tardo latino nel 1287 da Guido da Colonna.
In tutti questi testi si parla, fra l'altro, del gioco del tric-trac. Ma in una versione inglese del 1440 della «Caduta di Troia» viene usato per la prima volta il termine «draughtes» al posto di tric-trac. In questo caso I'interpretazione del traduttore si rivela utile agli storici.
La parola «draughtes» si incontra anche prima nel poema «Il libro della duchessa» scritto nel 1369 da Giuffredo Chauser (1343-1400). In questo poema si narra la storia di un cavaliere che si è messo a giocare con una dama labile e frivola: la Fortuna. Il gioco viene chiamato da Chauser scacchi (the chesse), ma le figure «pedine» (draughtes), anche se subito dopo viene usato il termine «fers» (la Donna nella terminologia medioevale inglese).

Questa confusione di termini scacchistici e damistici era frequente anche nei testi francesi, particolarmente nel XII-XIII secolo. Il fatto si spiega facilmente. Come sappiamo il termine «Dama» deriva dagli scacchi e per un certo periodo fu usato nella terminologia di tutti e due i giochi.

Passiamo ora alle fonti arabe.
Nel manoscritto di Abul-Facht (1251) si nomina il gioco «Farisia» molto diffuso fra gli europei e da essi chiamato «la regina dei giochi». Secondo Abul-Facht questo gioco era «simile» agli scacchi. Lo storico Van der Linde nel suo «La storia degli scacchi» del 1881 così commenta le parole di Abul-Facht:
«Gli arabi non conoscevano la dama e non esisteva nella loro lingua una parola corrispondente esattamente. Perciò Abul-Facht, siccome gli europei chiamavano il gioco con la parola che indicava la regina negli scacchi (dama), ha seguito questa strada anche in arabo creando il termine farisia».

Chi erano questi «europei» di cui si parla nel manoscritto arabo? Si presuppone che non fossero gli spagnoli. Come sappiamo dal «Codice Alfonsino» la parola «dama» non era ancora usata in quel periodo in Spagna (si comincerà ad usarla solo molto più tardi, all'inizio del XVI secolo).
Sulla base dei documenti e dal confronto delle fonti letterarie sembra possibile che la dama sia apparsa nel sud della Francia nel secolo Xl. Nel Xll secolo si è diffusa in tutto il territorio francese e nel Xlll e XIV secolo ha proseguito la sua espansione nelle Fiandre e in Inghilterra.
Le regole del gioco della dama francese e inglese di quel periodo erano diverse da quelle attuali. Le pedine potevano prendere solo in avanti e la dama poteva spostarsi di una sola casella per volta [L'autore ha presente le regole della dama russa, francese e spagnola in cui le pedine prendono anche all'indietro e le dame hanno il movimento lungo - N.d.T.].
La presa non era obbligatoria e questo rendeva il gioco povero di contenuti e di combinazioni.
L'introduzione della presa obbligatoria costituì una vera e propria rivoluzione nel gioco della dama, ma essa non fu adottata contemporaneamente dappertutto. Per un lungo periodo coesisterono due varianti del gioco: con presa obbligatoria e senza.
La variante senza presa obbligatoria, non arrivata fino a noi, si chiamava «dama». La variante più moderna si chiamava «forsé» o anche «forsà» in francese e «perfors» in inglese.
La nuova regola si stabilì lentamente nel processo di sviluppo e di studio delle possibilità contenute nel gioco.
È interessante notare che anche gli scacchi attraversarono una fase di questo tipo durante il loro primo periodo europeo. Nel già ricordato «Codice Alfonsino» (1823) si descrive un gioco di origine araba chiamato «forsado». Questo gioco non era altro che gli scacchi con la presa obbligatoria.

Nella dama per lungo tempo la presa obbligatoria non rappresentava solo la presa vera e propria, ma anche la multa di una pedina (soffio) per il rifiuto di presa. Questa regola sopravvisse più a lungo in Inghilterra.
François Rabelais (1494-1553) nella sua «Vita di Gargantua e Pantagruel» descrive due forme di gioco: «dama» e «forsé». Nel libro di Pierre Malle «Gioco di dama» (Parigi 1668) si dice: «Bisogna distinguere due varianti del gioco di dama, la prima si chiama forsà e la seconda plesan». Qui per la prima volta la dama con la presa obbligatoria viene messa al primo posto e la vecchia variante non viene chiamata «la dama», ma solamente una variante del gioco e riceve anche un nome specifico che, insieme alla variante stessa, verrà presto dimenticato.

Il primo paese ad adottare le moderne regole di presa fu la Spagna.
La dama venne introdotta in Spagna relativamente tardi (XVI secolo) e gli spagnoli non conoscevano ad esempio la regola della multa (soffio). I primi libri spagnoli del gioco, oltre a indicazioni sulle aperture e analisi di partite, comprendevano anche finali e problemi costruiti sulla base della presa obbligatoria.
In quel periodo la pedina poteva prendere solo in avanti e, se c'erano possibilità diverse di presa bisognava scegliere quella dove si eliminava il maggior numero di pezzi. La pedina che giungeva a dama non poteva, come adesso, operare immediatamente come dama [N.d.T.: nella dama russa e spagnola di oggi la pedina che diventa dama opera come tale immediatamente, senza attendere la mossa seguente dell'avversario].
La variante spagnola della dama (giocata sulla scacchiera) si diffuse rapidamente in tutto il mondo. Fu adottata in Africa, in Argentina, nelle Filippine, a Cuba e nelle Hawai. Però non sempre le regole erano identiche.

In conclusione la dama si affermò nel corso del XV secolo reggendo molto bene la concorrenza con gli scacchi, il tric-trac ed i giochi di carte.
Tutti i giochi in quell'epoca erano di azzardo.
La dama e gli scacchi non si prestavano molto alle scommesse ed hanno dovuto sostenere una notevole concorrenza per affermarsi. Un'idea di queste difficoltà si può ricavare da un informatore francese sui vari giochi del 1654. In esso si legge:
«Senz'altro la dama e gli scacchi sono giochi leciti e diffusi, anche se richiedono molto impegno e poca fantasia. Essi non possono comunque paragonarsi al tric-trac che è un grande gioco nobile, attivo, spirituale e pieno di movimento».
Nonostante tutto, grazie al loro profondo contenuto intellettuale e alla loro ricchezza, la dama e gli scacchi sono restati e continuano a fiorire ancora oggi, mentre il tric-trac è ormai caduto in disuso in molti paesi.

 

{tab=La dama moderna}

 

La dama moderna

Abbiamo visto come nessun altro gioco, come la dama, possiede tante varianti nazionali, conservando nello stesso tempo delle caratteristiche generali comuni.
Nello specchietto contenuto in questa pagina vogliamo mettere in evidenza le quattro varianti nazionali di questo gioco sulla damiera 8x8 che si sono dimostrate le più resistenti attraverso lo sviluppo storico.
Le altre varianti nazionali hanno in comune le seguenti caratteristiche:

  • somiglianza più o meno accentuata con una delle quattro varianti dello specchietto,
  • scarsa stabilità nel tempo e convivenza, in vari periodi di sviluppo, con varianti diverse e temporanee.

In Germania, per esempio, nei secoli XVI e XVII la dama era molto diffusa ma si giocava in diversi modi. La variante originale (che era quella franco-inglese) si era dimostrata instabile, nonostante avesse assunto il nome di «variante tedesca». In quello stesso periodo in Germania si usava giocare anche la variante oggi definita «polacca». In pratica la variante tedesca veniva modificata con l'introduzione del movimento lungo della dama.

La variante polacca a sua volta assomiglia alla dama russa, ad eccezione dell'obbligatorietà della presa maggiore e del fatto che la pedina che giunge a dama non opera immediatamente come tale.
La dama russa si distingue dalle altre varianti del gioco per la ricchezza di combinazioni.
Questa variante, la cui origine può collocarsi nel XVII secolo, è quella più dinamica in confronto alle altre, perchè oltre alla maggiore mobilità dei pezzi, anche le regole di presa lasciano libertà di scelta ai giocatori.

È molto interessante notare che il «movimento lungo» delle dame appare alle due estremità opposte dell'Europa (la Spagna e la Russia), mentre negli altri paesi l'azione della dama è limitata a una casella.
Fa eccezione la Polonia dove il gioco è arrivato dalla Russia all'inizio del secolo XVIII ed ha preso il nome di «variante polacca», come in Germania la variante anglo-francese aveva assunto il nome di variante tedesca. La parola polacca «warcaby» che nella lingua odierna indica il gioco della dama, in quell'epoca indicava il tric-trac. La parola «warcaby» per indicare la dama viene usato per la prima volta nella lingua letteraria solo nel 1777.

Ma torniamo alla dama russa. Il gioco viene menzionato già nel XVI secolo nelle leggende e nei canti popolari. Ma essendo queste leggende e canti tramandati a voce da una generazione all'altra spesso cambiavano il significato delle parole. Perciò non è possibile datare con sicurezza l'origine della dama russa sulla base di prove così labili. Le prime documentazioni certe vengono fornite dalle descrizioni della vita nelle città e dalle cronache della vita nelle corti degli Zar. Già ai tempi dello Zar Ivan il Terribile a corte erano molto diffusi i giochi da tavoliere, particolarmente gli scacchi ed il tric-trac (in russo «taviel»).
Secondo Samuel Perches che in un suo libro cita le pagine del diario di Jerom Gorsey, il quale viveva alla corte di Ivan il Terribile, lo Zar morì dietro la scacchiera. Questa notizia è desunta dalla quarta edizione del libro di Perches (Londra 1626). Il diario di Gorsey è stato tradotto in russo da Karamoin e Soloviev, i quali però hanno commesso un errore scrivendo che Ivan il Terribile morì giocando a dama. Fuorviato da questa fonte lo storico russo S. Sorokin, che dedicò molte ricerche alla storia della dama, commise lo stesso errore in un suo libro nel 1892.

Per tanti validi motivi si può presumere con una certa sicurezza che la dama fu introdotta in Russia durante il regno di Alexej Mikailovic (1645-1676) e che si diffuse in modo sorprendentemente rapido, già nella forma attuale, durante il regno dello Zar Pietro Primo (1689-1725). Il cameriere personale di Pietro Primo, il tedesco F. Von Berggolz, scrisse nel suo diario nel 1722: «Nel palazzo Menshikov, nel salone da ballo, vi sono molti tavoli con sopra le pipe ed il tabacco per fumare ed annusare e anche molti tavoli per giocare a scacchi e a dama».
Questi diari sono la prima testimonianza scritta inoppugnabile riguardante la dama russa.

L'esistenza di tanti tipi di dama solo più recentemente ha avuto dei riflessi in campo internazionale, senza peraltro intaccare le varianti giocate nazionalmente sulla damiera 8x8.
Com'è noto la dama internazionale si gioca con 20 pedine per parte e sulla damiera di 100 caselle (10 per lato) e solo recentemente è stata riconosciuta come tale in quasi tutti i paesi.
Questa variante del gioco è nata, come adesso si può sostenere con una certa sicurezza, in Francia presso la corte di Filippo d'Orleans (che morì nel 1723).

Uno dei suoi ufficiali, che giocava sempre con uno straniero di cui si conosce solo il soprannome di «polacco», facendo insieme a questi esperimenti sulle regole del gioco, ingrandì la damiera ed introdusse la regola della presa all'indietro delle pedine. Con queste modifiche il gioco si diffuse in tutta Parigi. Nel 1727 giocavano a dama con questa variante i gioiellieri frequentatori del Caffè in piazza Dofin ed anche i clienti dell'albergo Suasson. Nel 1730 nel Caffè dell'Opera a via Saint-Honorée vi erano due tavoli per il gioco di «dama polacca» (così veniva allora chiamata questa variante a Parigi). Quando la «dama alla polacca» viene mostrata all'ex re di Polonia Stanislao Lescinsky (1677-1766), questi rispose che in Polonia si giocava in modo diverso e mostrò ai suoi interlocutori... la variante franco-inglese del gioco che lui aveva appreso dai francesi!
Nel periodo del regno di Stanislao Lescinsky (1704-1709), infatti, la dama in Polonia era pressochè sconosciuta. Il gioco arrivò dalla Russia solo qualche anno più tardi.

In conclusione si può dire che l'attuale gioco sulla damiera di 100 caselle è stato creato in Francia da un ristretto numero di persone.
La prima descrizione esatta della «dama alla polacca» si trova nella famosa «Enciclopedia» di Diderot e D'Alambert (1754). Jan Jacques Rousseau (1712-1778) era un appassionato giocatore di dama alla polacca. Tale gioco era molto praticato anche nel salotto della famosa favorita del re, Madame Pompadour (1721-1746). Ci sono pervenuti anche i nomi dei più forti e famosi giocatori di quell'epoca: Manoury, Blond e Mardoché.

Il processo di diffusione del nuovo gioco non fu lineare. Si ebbero anche dei periodi di stati, fin quasi alla scomparsa del gioco stesso, come verso la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, quando era difficile trovare a Parigi una damiera con 100 caselle. Ultimo nostalgico appassionato di questo gioco era il Manoury (morì nel 1823) che scrisse in proposito: «la gioventù moderna non capisce e non apprezza questo bellissimo gioco e dà la preferenza al domino».

 

{tab=I nostri giorni}

I nostri giorni

Abbiamo visto come il Manoury rimpiangesse il gioco della dama a 100 caselle quasi dimenticata alla fine del 1700.
Agli inizi del XIX secolo la dama, dopo un breve periodo di rifioritura, viene di nuovo dimenticata. Nel 1839 il lamoso giornale «Palamede» pubblicò la storica lettera di A. Ever (1758-1850), il quale, ricordando i tempi della sua giovinezza così scriveva: «Questi grandi nomi (Manoury e Blond) sono passati e non torneranno. Andandosene essi hanno portato con se nella tomba il segreto del loro talento. Non ci sono più giocatori di dama. Fortunato colui che, come me, ha avuto la possibilità di respirare la stessa aria con questi grandi geni, era presente alle battaglie di questi giganti e può ricordare gli attimi felici passati nel vecchio Caffè Manoury».

Però nella seconda metà del XIX secolo la dama internazionale ebbe un nuovo periodo di fioritura. Nel 1867 un giornale di Lione dedicò a questo gioco una rubrica e nel 1878 a Lille ebbe luogo il primo torneo.
In Olanda il gioco su 100 caselle venne introdotto nel 1733. Nel 1737 venne presentata ad un borgomastro la denuncia contro un insegnante che durante le lezioni giocava a dama con gli alunni (si presuppone sulla damiera di 100 caselle).

Dagli scritti del famoso musicista-scacchista Philidor si sa che nel 1745 la dama sulla damiera di 100 caselle era molto conosciuta in Olanda. Francois Danican Philidor (1726-1795) a 19 anni si trovò solo in Olanda senza parenti e amici e senza mezzi di sussistenza. Per un anno intero riuscì a guadagnarsi da vivere giocando a dama e a scacchi.

Il primo libro-manuale sulla dama a 100 caselle fu stampato in Olanda nel 1785. L'autore era Efraim Van Emden (1752-1832). Nel 1802, sempre in Olanda, ad Amsterdam fu costituita la prima organizzazione damistica a carattere nazionale. Solo molto più tardi, nel 1573, il settimanale «Sissa» cominciò a pubblicare regolarmente una rubrica sulle combinazioni.

In Russia, nonostante le regole simili della dama russa (fatto che fin da allora faceva prevedere agli esperti che i russi avrebbero ottenuto grandi successi), la dama sulle cento caselle per lungo tempo non suscitò alcun interesse. Solo nel 1935 un gruppo di dilettanti sovietici, dopo aver praticato a lungo il gioco sulle cento caselle, propose un torneo per corrispondenza ad una squadra di Parigi. Il torneo non ebbe luogo, ma l'avvenimento segno l'ingresso dell'URSS in questo gioco. Nello stesso periodo infatti la nota rivista «64» cominciò ad occuparsi della dama internazionale pubblicando informazioni e foto sul campionato del mondo che si disputava a Reichenbah.
Nel 1953 si cominciarono a disputare regolarmente i campionati sovietici di dama internazionale e nel 1958 I. Kuperman fu il primo sovietico a diventare campione del mondo di dama internazionale.

Vediamo infine qualche accenno ad alcune varianti minori del gioco della dama.

Verso la metà del XVIII secolo i francesi portarono il loro gioco in Canada. Da esso nacque la variante canadese che si gioca sulla damiera di 144 caselle (12 x 12). Nel 1805 in alcuni negozi di Londra era possibile acquistare dei completi di dama canadese. Nel 1875 un giornale di Montreal cominciò a pubblicare una rubrica dedicata alle combinazioni e nel 1891, sempre a Montreal, venne fondata l'organizzazione dei damisti canadesi in occasione del primo campionato nazionale. La variante canadese della dama è diffusa soprattutto fra la popolazione di lingua francese del Canada. Si gioca sulla damiera 12x12 anche a Ceylon e in Malesia.

Un'altra varlante molto interessante della dama è quella turca. In essa le pedine muovono in avanti sulle colonne e lateralmente sulle linee (a destra e a sinistra), quindi non diagonalmente come nelle altre varianti. Le altre regole della dama turca sono uguali a quelle del gioco tradizionale. I turchi usano due nomi per il gioco: «dama oluni» che vuol dire gioco di dama (ed è di provenienza straniera) e «aliantai» che deriva dal verbo turco «atlamak» saltare).

Ed infine citiamo la variante armena della dama in cui le pedine hanno il movimento ortogonale, cioè possono muoversi in tutte le direzioni (verticalmente, orizzontalmente e diagonalmente sia in avanti che all'indietro). Lo stesso movimento dei pezzi si ritrova in una sottovariante della dama malese che venne scoperta da un olandese alla fine del XVII secolo. Però la dama armena è molto più antica.

Abbiamo così descritto, nelle sue linee generali, la storia dello sviluppo del gioco dai tempi più remoti fino al gioco attuale riconosciuto come internazionale e che è diventato parte integrante della cultura dell'uomo moderno.

Traduzione e adattamento di D. Sandretti e S. Izzo

Come preannunciato all'inizio di questa serie di articoli diamo, per coloro che fossero interessati ad approfondire l'argomento, una breve bibliografia dei libri direttamente o indirettamerte citati negli articoli stessi. Essendo tutti libri stranieri, abbiamo preferito dare la traduzione italiana dei titoli indicando la lingua originale e nei casi dove abbiamo potuto reperirne notizia sicura, anche il nome della casa editrice più recente.

K. Kruiswik «Storia e bibliografia completa del gioco della dama» olandese ed. GAAG
M.K. Goniaev «Studio storico sul gioco della dama» russo
M.K. Goniaev «Appunti sulla dama» russo
Van der Lasa «Storia completa della dama» olandese
Z. Boje «Da dove proviene la dama» russo ed. Mosvka
D. Sarghin «Origine del gioco della dama» russo ed. Sport e Turismo
H.S.R. Murray «Giochi del mondo antico» inglese ed. Oxford
H.S.R. Murray «Storia dei giochi da tavoliere, eccetto gli scacchi» inglese ed. Oxford
R.C. Bell «Giochi da tavolo e tavoliere da molte civiltà» inglese ed. Oxford
E Falkener «Giochi antichi ed orientali e come giocarli» inglese ed. Dover

Abbiamo limitato la bibliografia a quelle opere che trattano esclusivamente l'aspetto storico e bibliografico dei giochi. Molti altri libri trattano solo parzialmente quest'argomento e alcune riviste (in particolare quelle sovietiche «64» e «Shashky») possono essere molto utili per chi intendesse essere maggiormente informato.


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